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Archive for the ‘Attualità’ Category

………….crazia.

3 marzo 2011 1 commento

Mi chiedo come possa definirsi una democrazia nella quale la popolazione non può scegliere i propri rappresentanti e dove l’istituto diretto del referendum viene puntualmente sabotato dalla politica.

Non può essere, di fatto, una democrazia rappresentativa e ciò non è compensato da strumenti di democrazia diretta, che anzi vengono subdolamente disinnescati.

E’ dunque una rappresentazione di democrazia, una democrazia puramente formale, prettamente di facciata, stando al significato stretto con cui i greci hanno definito questo ordinamento.

In un Paese in cui la popolazione è perlopiù dormiente la si potrebbe definire dormocrazia. Anche perchè, se tale non fosse, in Italia la situazione sopra tratteggiata non si sarebbe mai potuta verificare, o quantomeno protrarre. E così vado tristemente a constatare quanto sbagliata fosse quella sensazione che, non senza entusiasmo, avevo descritto nel post precedente a questo.

Secondo i canoni della scienza politica, la nostra può banalmente definirsi oligarchia, essendo che una classe minoritaria, quella politica, detiene in maniera esclusiva le redini del governo. Ma l’oligarchia era essenzialmente aristocrazia, il governo dei migliori, perciò noi non siamo nemmeno questo. Ci troviamo nella situazione diametralmente opposta in cui sono i peggiori a governare: il Parlamento è ormai ridotto a un ricovero per porci, porche, fuorilegge e commercianti senza scrupoli, nè tantomeno dignità.

Cacocrazia, dunque. Laddove “caco-” è il prefisso di derivazione greca che indica i peggiori (o, più letteralmente, i cattivi), ma è anche il verbo di derivazione latina che definisce la produzione di escrementi. E gli escrementi, guardacaso, identificano metaforicamente i peggiori.

Resto qui perchè mi è tornata la speranza

30 novembre 2010 2 commenti

A new dawn seems to be rising.

Siamo alla fine. Ormai ne sono convinto. Siamo come un malato in coma che inizia a vedere la luce in fondo al tunnel. Ci stiamo svegliando. Non si avverte più solo assordante torpore, ma sempre più il fervore del vento che sta cambiando. Il coperchio della pentola inizia a traballare, la terra a ribollire, non per distruggere stavolta, ma per ricostruire.

Abbiamo un’evidente tendenza ad addormentarci, a lasciarci andare, nella certezza che qualcuno ci prenderà al volo. E non importa chi lo farà, chi approfitterà del nostro sonno per portarci su derive di sua convenienza o per soddisfare le proprie narcisistiche aspirazioni. Come alla fine del Ventennio, anche se in maniera meno estrema e sotto profili ben diversi, siamo arrivati sul fondo; e ora che ci manca l’aria non possiamo che svegliarci: è istinto di sopravvivenza.

Certo, sarebbe meglio evitare certe profondità, ma abbiamo la tendenza ad addormentarci, a lasciarci andare, nella certezza che qualcuno ci prenderà al volo.

E’ una rinascita culturale quella che sta per avvenire. Si sono oltrepassati troppi limiti, mai come oggi siamo un Paese culturalmente ferito. L’attacco è stato pesante e chirurgico, è avvenuto attraverso un utilizzo massiccio delle armi di distruzione di massa: i mezzi di comunicazione di massa, appunto.

E’ stato portato avanti un progetto di rincoglionimento generale partito da lontano e che oggi non si cura più di esagerare. E’ fuori controllo; e come tutte le cose fuori controllo è destinato a finire nel peggiore dei modi.

Sono stati gli aspetti concreti, economici, a spingere chi può a dire basta. Forse perché si è avvertito che i tagli a cultura e istruzione sono un tassello, nemmeno troppo indiretto, di quel progetto di rincoglionimento generale. Ma un tassello posato oltre il confine dell’esagerazione. Finché le risorse ci sono, seppur limitate, si può provare a reagire; ma se vengono troncate ancora di più, modificando subdolamente anche meccanismi fondamentali per la costruzione e la ricerca della conoscenza, come per l’espressione e la salvaguardia della cultura, allora si sale sui tetti: abbiamo la tendenza ad addormentarci, a lasciarci andare, ma quando ci manca l’aria non possiamo che svegliarci. E’ istinto di sopravvivenza.

Si sale sui tetti proprio come a volerne cercare di più di aria. Di più e più buona. Esattamente come chi arriva dal profondo del mare a corto di ossigeno e irrompe a tutta velocità sulla superficie, fino al bacino, il più in alto possibile. E con la bocca spalancata.

Sui tetti e sui monumenti, per tornare a respirare cultura. L’Età del Becero sta finendo, i colpi di chi continua a calpestarla la cultura, sicuro di poterlo fare ancora, ora provocano reazioni. Ed è confortante vedere che le reazioni arrivano anche dagli studenti, dalle generazioni che credevamo irrimediabilmente compromesse per essere cresciute a pane e reality show. Altro che centri sociali, ormai queste recite da ridicoli imbonitori non attaccano più, nemmeno se vengono messe in scena su You Tube, per sembrare giovanili. Ma forse sta finendo anche l’Età del Sembrare e Basta.

E’ banale, scontato e già ripetutamente detto, ma i crolli di Pompei rappresentano davvero, in maniera inequivocabile, lo stato del Paese. Il suo stato dell’arte, così possiamo dire: “in tutti i sensi”. Pompei sembra essersi fatta portavoce di tutti i monumenti italiani e crollando è come se abbia voluto attirare l’attenzione.

Adesso, credo, stiamo per tornare nelle condizioni di sapergliela prestare attenzione. Un ritorno al buon senso, non a chissà che cosa. A un’identità da sentirsi più propria. Al non dover sempre percepire una connotazione negativa quando si sente la parola “italiano”, specie all’estero. Una volta quell’aggettivo era sinonimo di qualità, adesso possiamo quantomeno sperare di togliergli quell’aura un po’ comica un po’ dispregiativa. Possiamo sperare di tornare a rispettarci e a sentirci più rispettati.

Non dirò più che voglio andare via: resto qui perché mi è tornata la speranza.

Resto qui, perché anche se abbiamo la tendenza ad addormentarci, a lasciarci andare, siamo sempre capaci di risvegliarci.

Un Grillo per la destra

30 marzo 2010 1 commento

Fare politica senza mischiarsi con la politica “tradizionale”: questa credevo fosse e dovesse restare la nostra cometa, la nostra essenza, la nostra differenza.

Sono stato anch’io un “grillino”. Uno della prima ora, di quelli che hanno visto nascere i Meetup e ci hanno dedicato tempo libero e passione. Con orgoglio e dedizione. Di quelli che hanno fatto il V-Day 1, l’unico e irripetibile, lontano anni luce dagli odierni e sterili “No Qualsiasi Cosa Day”.

Ero uno di quei “Garibaldini della democrazia” che avevano il sogno di sconfiggere la politica senza fare politica. O meglio, cercando di cambiare prospettiva alla politica, occupandosi concretamente di problemi tangibili nel quotidiano delle nostre realtà locali. Per cambiare le cose dal basso, semplicemente.

Ma in questo abbiamo fallito. Non per mancanza di volontà, tutt’altro, ma per insufficienza di mezzi. Insufficienza di mezzi ed estremo carisma di Beppe, che attirava su di sè, a livello nazionale, tutte le forze dei Meetup, soprattutto di quelli “piccoli” come il nostro. E così le questioni locali sono sempre passate in secondo piano. E anche così hanno iniziato a insinuarsi le prime idee di costituirci in liste civiche per presentarsi alle elezioni: facile soluzione all’insufficienza di mezzi.

Certo, solo entrando nei consigli comunali, provinciali e regionali si può avere la possibilità di “fare qualcosa”. Ma non era quello il nostro ruolo, non era quello il nostro obiettivo. O per lo meno non era il mio, che allora me ne sono progressivamente allontanato. Fare politica senza mischiarsi con la politica “tradizionale”: questa credevo fosse e dovesse restare la nostra cometa, la nostra essenza, la nostra differenza. Noi dovevamo fare il “lavoro sporco” di aprire gli occhi alla gente, renderla cosciente, consapevole, per coinvolgerla nel cambiamento. Perchè la politica cambia solo se è la gente a cambiarla e noi dovevamo contribuire a destare le coscienze e dirigere il cambiamento.

In Beppe vedevo proprio questo: un inimitabile “risvegliatore”, il comico Messìa che avrebbe indossato lo Stivale per dare un calcio al torpore anestetico calato dal berlusconismo e ci avrebbe riconsegnato la possibilità di avere la politica, quella vera.

Forse adesso Beppe si è fatto prendere la mano e ha portato con sè i suoi infaticabili e ammirevoli discepoli, a cui sono ancora affezionato. O forse invece ha scelto la strada giusta, ma ha sbagliato i tempi. Troppo presto, troppo in anticipo, se proprio doveva scendere nell’agone della politica “tradizionale”.

Hai fatto un exploit strepitoso, Beppe, ma che hai concluso? Avrai qualche consigliere, sei entrato là dove si può “fare qualcosa”. Ma con quei numeri che cosa puoi fare? Puoi portare la tua opinione direttamente nelle sedi opportune, certo. Ma la matematica, banalmente, non è un opinione. E’ concretezza, l’unica cosa che servirebbe adesso. Forse se n’è reso conto anche Di Pietro: ci serve la matematica per liberarci da quella che crediamo essere la causa principe dei mali del Paese. Poi potremo parlare di altro, poi potremo “fare qualcosa”. Ora i tuoi numeri ci hanno condannato a cinque anni di Lega, molto peggio della semplice “destra”. Adesso, Beppe, dei tuoi “numeri” non avevamo affatto bisogno.

Nero o semplicemente antipatico?

8 gennaio 2010 1 commento

Assolutamente deprecabili e ovviamente ingiustificabili, certo, ma mi piacerebbe capire che cosa c’è di razzista in cori come quelli contenuti in questo video e cantati sistematicamente in molti stadi di Serie A.

“Figlio di puttana” credo sia l’insulto più comune, insieme a “Pezzo di merda”, con cui viene dipinto un qualsiasi giocatore avversario, nero, bianco o giallo che sia, da una qualsiasi tifoseria del pianeta.

Il gettonatissimo “Se saltelli muore Balotelli”, ripugnante, è certamente l’ennesima dimostrazione dell’ignoranza e della superficialità che pervadono non solo gli stadi: con tutta probabilità, sarebbe stato coniato per qualunque altro giocatore avesse fatto rima con “saltelli”, anche se Balotelli si presta particolarmente per banali questioni metriche. E al di là di tutto ciò, esso non possiede alcun contenuto razzista.

Così come ne erano privi i fischi, comunissimi dalla notte dei tempi non solo negli stadi di calcio, che hanno investito l’attaccante dell’Inter mercoledì scorso a Verona mentre usciva dal campo. Fischi partiti già qualche minuto prima, quando Balotelli aveva calciato via il pallone a gioco fermo beccandosi una cercatissima ammonizione. Ecco, forse il reale nodo della questione sta proprio nell’altissimo tasso di antipatia che gli atteggiamenti di “SuperMario” suscitano pressochè unanimemente.

Balotelli non viene fischiato e insultato perchè è nero (anche se di razzisti ne sono indubbiamente piene le curve), ma perchè è urtante, baldanzosamente provocatorio, strafottente, altezzoso, scorretto con pubblico e avversari. Insomma, farebbe venire l’orticaria anche a Gesù Cristo, ammesso che sia davvero esistito.

Fatto sta che dopo l’episodio di Verona si è automaticamente riaperto il cielo scialbo delle solite, facili, ipocrite, gratuite e strumentali polemiche in perfetto stile italico, ovvero tutte populisticamente e mediaticamente puntate all’apparenza, con buona pace dei contenuti reali.

Apparenza che in questo caso si manifesta nell’equazione “Balotelli : Nero = Cori da stadio : Cori razzisti”. Semplice anche per chi come me non ha mai avuto un buon rapporto con la matematica, ma vuota di effettiva sostanza.

Questa automatica “speculequazione” assomiglia, con le naturali differenze del caso, a quella “Israele : Ebrei = Critica a Israele : Antisemitismo”. Chi osa muovere critiche a Israele, che sia un comune cittadino o un movimento come quello per la Pace, si prende dell’antisemita, per non dire di peggio.

Allo stesso modo, chi insulta, per quanto pesantemente, o anche solo fischia Mario Balotelli, viene ormai quasi meccanicamente tacciato di razzismo.

Ecco, io ammetto candidamente di aver dato più di una volta del “bastardo” a Balotelli; e ammetto altrettanto candidamente di avere spesso criticato Israele e le sue politiche. Ma sono tutto tranne che razzista e antisemita.

Non deve morire così

14 dicembre 2009 4 commenti

Per fortuna Massimo Tartaglia è uno psicolabile. E per fortuna in mano aveva una statuetta del Duomo di Milano, non una pistola.

Se no avremmo anche dovuto assistere a mirabolanti equiparazioni tra Don Silvio e personaggi di reale spessore, come Itzaac Rabin e John F. Kennedy. “Martiri”, quelli sì, di azioni, ideali e cause non proprio ad personam.

Il primo, quando fu ucciso a Tel Aviv il 4 novembre del ’95, era anch’egli premier e venne assassinato dopo essere intervenuto a una manifestazione di piazza. Stesse circostanze del ferimento di Berlusconi.

A differenza del nostro aspirante imperatore, però, Rabin aveva compiuto un passo che sarebbe rimasto storico nel processo di pace israelo-palestinese, firmando nel ’93 gli Accordi di Oslo insieme a Yasser Arafat, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese. Per questo ricevette l’anno successivo il Nobel per la Pace e sempre per questo fu ammazzato da un estremista israeliano.

Il Nostro, invece, come solo i suoi non sanno (o meglio, fingono di non sapere) è “sceso in campo” per non finire in galera e, dopo 15 anni di riuscita latitanza pubblica, sta tentando oggi di dare il colpo di reni finale, girando i cannoni direttamente contro le istituzioni repubblicane del Paese, Costituzione in primis.

Dato che se n’è accorto addirittura Casini, possiamo considerare anche quest’ultimo aspetto come un fatto oggettivo, palese e incontrovertibile.

Altrettanto chiare sono le differenze oceaniche con John Fitzgerald Kennedy, vittima il 22 novembre 1963 dell’arcinoto attentato durante una visita ufficiale nella città di Dallas.

Considerato il personaggio che avrebbe cambiato per sempre gli Stati Uniti sotto il profilo della politica sia interna sia estera (un pò come Obama oggi), Kennedy e il suo omicidio sono ancora al centro di dibattiti e indagini storiografiche per stabilire la veridicità delle teorie complottistiche che starebbero alla base della sua morte.

Teorie complottistiche che partono tutte dall’assunto dell’eliminazione di Kennedy come mezzo per impedirgli di portare avanti la sua svolta democratica, pacifista e umanitaria.

Tuttavia, resta ancora un personaggio a cui sicuramente il popolo di Silvio avrà pensato. E a cui quelle due o tre testate giornalistiche o trasmissioni TV non ancora in mano ai comunisti si affretteranno, forse, (il destino ce ne scampi) ad associarlo: Papa Wojtyla.

Giovanni Paolo II, infatti, benchè colpito dai proiettili di Alì Agca, killer di professione, si salvò.

Stessa sorte toccata all’Improcessabile, quindi, pur essendo un tantino diversa la portata dell’attentato*. E meno male.

Per fortuna Massimo Tartaglia è uno psicolabile, dunque. E per fortuna in mano aveva una statuetta del Duomo di Milano, non una pistola.

Che cosa avrebbero dovuto vedere, altrimenti, i nostri occhi? E cosa udire le nostre orecchie?

E soprattutto: che cosa avrebbero dovuto ancora sopportare i nostri fegati?

*Oltrechè del personaggio, ma questo, naturalmente, è opinabile…

I pilastri della discriminazione

7 ottobre 2009 2 commenti

Lutto nazionale

Ho provato a riflettere sulle motivazioni che possono aver spinto la Federcalcio a non programmare il minuto di silenzio prima delle partite della scorsa giornata di campionato e lo Stato a non proclamare (ad oggi e a funerali programmati ) il lutto nazionale in memoria del disastro di Messina. Ma non sono riuscito a trovare una risposta che mi sembri plausibile, a parte le facili comuni polemiche che possono venire in mente, ma che tali, credo, restano.

Abete, presidente della Federcalcio, ha chiesto scusa e ha ammesso di non essere riuscito a coordinare la questione, cosa che invece era riuscito a fare sia ad aprile per il terremoto in Abruzzo sia per i sei Parà uccisi in Afghanistan tre settimane or sono.

Fermo restando che mi sfugge cosa ci sia di tanto immane da coordinare, dovrebbe comunque essere un meccanismo ormai ben oleato, se non addirittura un semplice automatismo. Le scuse già generalmente servono a poco, dato che quel che è fatto ormai è fatto; di quelle maleodoranti del presidente federale, poi, i siciliani sanno bene cosa farsene.

Lo Stato, al momento, vale a dire alle 02.31 di mercoledì 7 ottobre, non si è ancora pronunciato sul lutto nazionale, nonostante la data dei funerali delle vittime sia già stata stabilita per sabato prossimo alle 10.30 e il sindaco di Messina abbia invitato alla cerimonia le più alte cariche dello Stato (le quali sabato dovrebbero già sapere se Alfano gli ha salvato le istituzionali chiappe o meno). Insisto su data e ora dei funerali perchè solitamente, o almeno così è avvenuto per Abruzzo, Viareggio e Parà, la proclamazione del lutto nazionale è contestuale a quella dei funerali. Per Messina, attualmente, nulla di tutto ciò. Probabilmente basterà pazientare, il rispetto per morti e sfollati messinesi può aspettare.

Quello che mi fa girare i cabbasisi, per dirla alla Montalbano, non è ovviamente il fatto di godere di un minuto di silenzio o di una giornata di lutto, ma piuttosto l’ ingiustificabile discriminazione che si sta palesando. Ingiustificabile, ma palese: quindi adesso me la voglio spiegare.

L’abusivismo edilizio è stato assunto come principale spiegazione del disastro: i messinesi non meritano lo stesso trattamento perchè la tragedia è stata causata anche dall’abusivismo edilizio incontrovertibilmente presente in quelle zone?

Innanzitutto, l’abusivismo edilizio non deve essere utilizzato come il consueto specchietto per le allodole sulle altre cause del disastro, le quali tirerebbero in ballo responsabilità che valicano i confini dell’isola, dopo essere debitamente passate per il Comune di Messina.

In secondo luogo, la colpa degli abusi edilizi non è da ricercare nè tra le bare all’obitorio di Messina nè tra chi quelle case le ha abitate e ora è in mezzo a una strada. Anche perchè risulta che molti edifici fossero stati dichiarati a norma, nonostante anche ad occhio fosse logico il contrario. Quella gente si è fidata, come spesso accade, degli “esperti” che hanno giocato con la loro pelle. Per questo non meritano il rispetto riservato ad altri?

Terzo: che differenza c’è tra le case messinesi costruite nel greto di vecchie fiumare e le case e l’ospedale di sabbia realizzati in Abruzzo? Non è altrettanto abusivismo edilizio costruire con materiale falso e di conseguenza improprio e inadatto? Come nota di colore, potrei aggiungere che la Società che vinse la gara per la messa in funzione dell’ospedale dell’Aquila è guardacaso la stessa che si è  aggiudicata la gara per la realizzazione del Ponte sullo Stretto, vale a dire Impregilo.

Ecco, Ponte sullo Stretto. Forse sono queste tre le paroline magiche che possono assurgere a spiegazione. L’opera faraonica a cui Napolitano ha fatto subito chiaro riferimento. L’opera faraonicamente inutile e fuori luogo attorno alla quale si combatte da anni.

I più che immaginabili interessi che sorreggono il Ponte non possono incontrare nell’alluvione di Messina la tragedia che li ostacola. Sono andati contro ogni studio geologico, contro ogni studio di trasportistica, contro ogni valutazione d’impatto ambientale. Senza contare le proteste della cittadinanza, che da tempo non hanno più valore. Non potranno certo essere dei morti nel fango a mettere davanti agli occhi commossi dell’intera nazione, una volta per tutte, le oggettive e scientifiche lacune di un territorio che ha bisogno di tutto, tranne che del Ponte.

I preveggenti del giorno dopo

5 ottobre 2009 3 commenti

La calamità innaturale

Berlusconi aveva previsto il disastro.

Bertolaso aveva previsto il disastro.

Buzzanca (sindaco di Messina) aveva previsto il disastro.

E il disastro si è prontamente verificato, libero di esprimersi in tutta la sua devastante prorompenza. Non ha incontrato ostacoli, niente che potesse circoscriverlo, tamponarlo, alleviarne gli effetti. Tantomeno, niente che potesse impedirlo.

Perchè niente hanno fatto i tre miracolosi preveggenti* per evitare che le loro grandi profezie diventassero triste realtà.

Eppure ne avevano non solo le possibilità, ma anche il preciso dovere.

Adesso, il primo ammette che in fondo non aveva previsto tutto: una pioggia così straordinaria gli era sfuggita. E si affretta a fare i suoi soliti proclami in cui promette ciò di cui la popolazione colpita avrebbe preferito non aver mai bisogno. Ma a lui conviene promettere dopo piuttosto che agire prima.

Il secondo, Super Guido, il più ricco dei supereroi, se la prende col terzo, perchè non è che può fare tutto la Protezione Civile, c’è bisogno che gli Enti Locali facciano la propria parte. E ha ragione, perchè il Comune di Messina sono quasi due anni che deve (anzi, ormai doveva) dare il via ai cantieri per la messa in sicurezza della collina di Giampilieri Superiore: ora che la collina si è portata via Giampilieri Superiore e Giampilieri Marina, il problema si è risolto da sè.

Super Guido, però, forse dimentica alcuni elementi, il primo dei quali è l’essere a capo della “Protezione Civile” e non del “Soccorso Civile”: egli pare infatti prediligere quest’ultima attività, che sia i messinesi sia gli aquilani gli avrebbero volentieri risparmiato.

Non ci sarebbe soccorso se ci fosse protezione.

Dimentica anche che la Protezione Civile Siciliana, invece, il suo dovere l’aveva fatto, consegnando, non troppi giorni fa, un rapporto piuttosto preoccupante, per non dire allarmante, sulla situazione idrogeologica del messinese. Dimentica, poi, ma questo è un dettaglio, che anche il WWF e quei pericolosi sovversivi del movimento No Ponte avevano redatto, pubblicato e segnalato rapporti analoghi: l’ultimo, quello dei pericolosi sovversivi, risale al 26 settembre scorso, cioè al 26 settembre 2009, cinque giorni prima del disastro.

Il Comune di Messina, ovvero il terzo dei nostri magnifici preveggenti, lamenta, dal canto suo, mancanza di fondi; e quindi se la prende un pò col primo, un pò con Raffaele Lombardo, detto anche “Governatore della Regione Sicilia”, che per l’occasione ha assunto l’investitura di “Commissario Straordinario” per l’emergenza in questione. La sua prima preoccupazione è stata quella di ribadire che i dubbi sulla costruzione del Ponte sono fuori luogo.

Tutto questo inutile vociare, in ogni caso, evidenzia soltanto che le doti divinatorie di BeBeBù sono rimaste del tutto fini a sè stesse, perchè nel frattempo il presente racconta di una sessantina di persone morte nel fango, siano esse già “vittime accertate” o ancora “dispersi”. E narra anche di circa 600 altre persone che una casa non ce l’hanno più, per quanto abusiva potesse essere, certo non per colpa loro.

Tutte queste persone, gli abitanti di Giampilieri Superiore, Giampilieri Marina, Altolia, Scaletta Zanclea, Molino, Briga, avevano previsto anch’esse il disastro. Quelli di Giampilieri l’avevano addirittura vissuto appena due anni fa, senza vittime. Queste persone avevano segnalato il pericolo e chiesto aiuto: non c’era bisogno di nessuna dote divinatoria, bastava prestar loro attenzione.

* D’ora in poi, viste le loro magiche doti divinatorie, li chiameremo BeBeBù.

Ubi Inter, Milan cessat

30 agosto 2009 Lascia un commento

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“Milan, credi in te” – Silvio Berlusconi –

Apprezzabile il tentativo di infondere coraggio alla squadra, ma sarebbe stata ancora più apprezzabile la presa di coscienza di non avere creato una compagine all’altezza della situazione.

Ormai la società rossonera è rimasta l’unica a non volersene rendere conto, nel tentativo di difendere a oltranza scelte impopolari di chi non ha solo bisogno della fiducia dei tifosi, ma è soprattutto interessato ai loro voti.

Basterebbe, però, fare voto di umiltà e spiegare le vere ragioni di certe scelte, per guadagnarsi quantomeno il rispetto. Basterebbe magari spiegare la necessità di risanare il bilancio, se così è. Se si sono venduti giocatori come Kakà senza sostituirli, probabilmente la ragione è economica e sarebbe sufficiente illustrarla, chiedendo un ulteriore sacrificio di pazienza ai tifosi, in attesa di tempi migliori. Nient’altro che trasparenza, nient’altro che sincerità, nient’altro che “attaccamento alla maglia”.

Questa difesa a oltranza, invece, lascia percepire nettamente il fatto che premier e famiglia si sono stufati del giocattolo che ha contribuito a disegnar loro intorno quell’aura di imbattibilità e di potenza internazionale che li adorna(va). I figli, forse, si sono resi conto che è un giochino economicamente poco produttivo e il padre inizia a tirare i remi in barca e a cucirsi le tasche rossonere. E questo non è sintomo di “attaccamento alla maglia”.

Del Milan, in effetti, ai discendenti di Sua Onnipotenza non è mai interessato granchè  e adesso che si inizia a prefigurare un loro sempre maggior coinvolgimento nell’impero economico del Padre, Egli non può non prendere in considerazione i loro pensieri.

E allora, Silvio, fai un favore alla prole e a noi tifosi, target elettorali e non: vendi il Milan a qualcuno che se ne voglia prendere cura con la passione che gli si deve e che tu gli hai oggettivamente prestato.

Tutti i cicli hanno un termine, anche quelli dell’onnipotenza.