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Resto qui perchè mi è tornata la speranza

30 novembre 2010 2 commenti

A new dawn seems to be rising.

Siamo alla fine. Ormai ne sono convinto. Siamo come un malato in coma che inizia a vedere la luce in fondo al tunnel. Ci stiamo svegliando. Non si avverte più solo assordante torpore, ma sempre più il fervore del vento che sta cambiando. Il coperchio della pentola inizia a traballare, la terra a ribollire, non per distruggere stavolta, ma per ricostruire.

Abbiamo un’evidente tendenza ad addormentarci, a lasciarci andare, nella certezza che qualcuno ci prenderà al volo. E non importa chi lo farà, chi approfitterà del nostro sonno per portarci su derive di sua convenienza o per soddisfare le proprie narcisistiche aspirazioni. Come alla fine del Ventennio, anche se in maniera meno estrema e sotto profili ben diversi, siamo arrivati sul fondo; e ora che ci manca l’aria non possiamo che svegliarci: è istinto di sopravvivenza.

Certo, sarebbe meglio evitare certe profondità, ma abbiamo la tendenza ad addormentarci, a lasciarci andare, nella certezza che qualcuno ci prenderà al volo.

E’ una rinascita culturale quella che sta per avvenire. Si sono oltrepassati troppi limiti, mai come oggi siamo un Paese culturalmente ferito. L’attacco è stato pesante e chirurgico, è avvenuto attraverso un utilizzo massiccio delle armi di distruzione di massa: i mezzi di comunicazione di massa, appunto.

E’ stato portato avanti un progetto di rincoglionimento generale partito da lontano e che oggi non si cura più di esagerare. E’ fuori controllo; e come tutte le cose fuori controllo è destinato a finire nel peggiore dei modi.

Sono stati gli aspetti concreti, economici, a spingere chi può a dire basta. Forse perché si è avvertito che i tagli a cultura e istruzione sono un tassello, nemmeno troppo indiretto, di quel progetto di rincoglionimento generale. Ma un tassello posato oltre il confine dell’esagerazione. Finché le risorse ci sono, seppur limitate, si può provare a reagire; ma se vengono troncate ancora di più, modificando subdolamente anche meccanismi fondamentali per la costruzione e la ricerca della conoscenza, come per l’espressione e la salvaguardia della cultura, allora si sale sui tetti: abbiamo la tendenza ad addormentarci, a lasciarci andare, ma quando ci manca l’aria non possiamo che svegliarci. E’ istinto di sopravvivenza.

Si sale sui tetti proprio come a volerne cercare di più di aria. Di più e più buona. Esattamente come chi arriva dal profondo del mare a corto di ossigeno e irrompe a tutta velocità sulla superficie, fino al bacino, il più in alto possibile. E con la bocca spalancata.

Sui tetti e sui monumenti, per tornare a respirare cultura. L’Età del Becero sta finendo, i colpi di chi continua a calpestarla la cultura, sicuro di poterlo fare ancora, ora provocano reazioni. Ed è confortante vedere che le reazioni arrivano anche dagli studenti, dalle generazioni che credevamo irrimediabilmente compromesse per essere cresciute a pane e reality show. Altro che centri sociali, ormai queste recite da ridicoli imbonitori non attaccano più, nemmeno se vengono messe in scena su You Tube, per sembrare giovanili. Ma forse sta finendo anche l’Età del Sembrare e Basta.

E’ banale, scontato e già ripetutamente detto, ma i crolli di Pompei rappresentano davvero, in maniera inequivocabile, lo stato del Paese. Il suo stato dell’arte, così possiamo dire: “in tutti i sensi”. Pompei sembra essersi fatta portavoce di tutti i monumenti italiani e crollando è come se abbia voluto attirare l’attenzione.

Adesso, credo, stiamo per tornare nelle condizioni di sapergliela prestare attenzione. Un ritorno al buon senso, non a chissà che cosa. A un’identità da sentirsi più propria. Al non dover sempre percepire una connotazione negativa quando si sente la parola “italiano”, specie all’estero. Una volta quell’aggettivo era sinonimo di qualità, adesso possiamo quantomeno sperare di togliergli quell’aura un po’ comica un po’ dispregiativa. Possiamo sperare di tornare a rispettarci e a sentirci più rispettati.

Non dirò più che voglio andare via: resto qui perché mi è tornata la speranza.

Resto qui, perché anche se abbiamo la tendenza ad addormentarci, a lasciarci andare, siamo sempre capaci di risvegliarci.

Avanguardie, motori della storia

15 giugno 2009 2 commenti

“L’avanguardia è sempre violenza. Altrimenti non potrebbe sorpassare e distruggere il resto” – Franco Battiato

Spesso piace fraintenderlo Battiato. Gli si dà dell’ “icona di destra” o del pensatore nascostamente di sinistra, del reazionario o del rivoluzionario, a seconda dei venti che tirano. A non volerlo fraintendere, ma ascoltare, però, si traggono degli spunti dai rilievi oggettivi nella lettura della storia. Di come questa, ad esempio, presenti ciclicamente periodi di apparente stabilità, caratterizzati da dominanti culturali, sociali, politiche ed economiche che mano a mano declinano fino ad arrivare al punto di rottura, alle rivoluzioni, che pongono fine alle dominanti precedenti per instaurarne di nuove.

E una rivoluzione altro non è che un’avanguardia (culturale, politica, sociale, economica) che esprime se stessa nel momento ultimo della rottura col precedente status quo. Una rottura che non può non essere violenta, perchè per superare la fase precedente deve sradicarne gli elementi cardine. Nel momento in cui, attraverso una rivoluzione, l’avanguardia sovverte l’ordine preesistente, essa cessa di essere tale e si configura come la nuova entità (culturale, politica, sociale, economica) dominante, che sottende, regge e regola una determinata collettività in un dato periodo. Ciò significa che questa collettività si esprimerà secondo i princìpi (culturali, politici, sociali, economici) che caratterizzavano l’avanguardia da cui è scaturita.

All’interno di essa, a loro volta, si svilupperanno nuove avanguardie, la preponderante tra le quali porterà a una nuova rivoluzione, attraverso cui si costituirà come nuova dominante.

Per violenza non deve per forza intendersi quella fisica, dei tumulti sociali e delle guerre civili, che hanno caratterizzato rivoluzioni come quella Francese. Può anche trattarsi di una violenza “non violenta”, nel senso di non sanguinosa; ma sempre violenza rimane, perchè è distruzione, eliminazione sostanziale di una situazione collettiva precedente per l’instaurazione di una nuova, pur se non sempre più evoluta.

Oggi stiamo percorrendo la parte più ripida del lato discendente del ciclo, quella che accompagna a gran velocità verso il punto di rottura. La forte decadenza culturale, il conseguente declino sociale, l’involuzione politica e la crisi economica nei quali ci troviamo sono sintomi inequivocabili di quella che non si può più dipingere come “tendenza”. Il turbine che sta portando a una nuova rivoluzione è irrimediabilmente innescato, le avanguardie che si nascondono nell’insofferenza di parti sempre meno esigue della società si stanno preparando ad emergere con prepotentenza.